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L’insegna luminosa

Un ramo di fico carico di foglie e frutti in diverse fasi di maturazione.
Sfiancato dal dibattito che più l’ha coinvolto nei giorni natalizi, ovvero se a Bari facesse freddo davvero o si trattava di una parvenza d’inverno, concentrato soprattutto sul ruolo dell’umido capace di abbassare la temperatura percepita e raggiungere le ossa gelandole dall’interno, oppure banale patina di goccioline d’acqua appiccicate a ogni auto, edificio e persino sul portone di casa, il giovane P. passeggia da solo nella nebbia, la novità metereologica dell’anno appena iniziato. A vederla appare candida e fradicia e più volte P. tenta di afferrarla con una mano per capirne la consistenza, ma più si avvicina e più quella si ritrae dal suo tocco bambino. Quello che deduce lo immalinconisce: se gli oggetti lontani appaiono ovattati nei contorni ed emergono con pudore a ogni passo di lui, le immediate vicinanze mantengono l’apparenza spoglia e priva di mistero. È la solita vita di P. che non si arrende alla nebbia.

Bari strada con nebbiaNon ci sono altre anime in giro, persino il bar è deserto, ma sempre illuminato con entusiasmo. Il centro esatto delle coreografie di LED multicolore è una stella grande quanto l’ingresso, uno stargate natalizio che a P. è piaciuto dal primo momento in cui l’ha visto. Ha provato anche a cercarne una versione più contenuta per il suo balcone di casa, ma la più piccola, alta come un bambino, costava una fortuna. Con cento euro di lucine, ci aveva ragionato a fondo, avrebbe dovuto rinunciare a dieci cene con la pizza d’asporto, tre pranzi con gli amici quando li avrebbe rivisti, undici film al cinema da solo e persino sette spese essenziali dal fruttivendolo vicino casa. Sconfitto dal rigore logico dei conti, P. aveva optato per una mesta serie di luci bianche alimentate da tre pile stilo, rivelatesi presto incapaci di reggere la pressione del timer dell’accensione notturna. Si sono affievolite già intorno al dieci dicembre, con somma mestizia di P. e forse anche del quartiere intero che, senza dichiararlo, contava anche sul suo balcone addobbato a festa. A pensarci adesso, a passeggio nella nebbia, gli si pianta in mezzo alla fronte una tristezza malsana che immagina evidente come un’insegna luminosa che lo irride. Eccolo qui, l’uomo triste senza luci e senza amici in questa città che non gli appartiene, ma scritto con mille luccicanti LED multicolore. Nella vergogna, lo consola solo il pensiero che, in una notte come questa, la nebbia ne attenuti i contorni così da renderlo finalmente libero. P. esprime, allora, il primo desiderio dell’anno e lo fa con la voce solenne che rimbomba nella testa: «Vorrei raccogliere questa nebbia bianca e conservarla nelle tasche per attenuare i contorni dell’insegna luminosa che ho in mezzo alla fronte e far credere che sia una stella, la più brillante del quartiere, la più colorata della città». Conclusa la formula magica, P. si concede un ultimo tentativo: allunga le braccia davanti a sé e tende le mani fredde verso il bianco in fondo alla strada. Finalmente la sente. È nebbia lattiginosa e fresca, proprio come la immaginava, soffice come cotone, voluminosa come ovatta. Ne pizzica giusto un assaggio, l’essenziale per trasformare in stella la sua insegna luminosa personale, e lo ripone nelle tasche. Poi, con i talloni sollevati e la testa più leggera, riprende a camminare verso casa abbracciando il bianco che gli viene incontro.

Foto di Alessia Ragno.

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