Lucija è una giovane donna paralizzata da un incidente, può soltanto muovere le palpebre in cenno di assenso quando le altre persone si ricordano di parlare con lei. Dorian è l’uomo trans che l’ha amata fin da subito e che con lei ha costruito un rapporto disperato le cui fondamenta affondavano nella paura. E infine, c’è la madre di Lucija, contraria alla loro relazione, ispessita da un passato violento e senza redenzione, una donna persa nel rimpianto. Sono questi personaggi il cardine uno e trino di “Figli, figlie”, romanzo dell’autrice croata Ivana Bodrožić pubblicato da Sellerio Editore nella traduzione di Estera Miočić.
Due i temi principali, entrambi legati dal filo comune della società maschilista e violenta in cui Lucija si muove, fino a quando può. Tre voci narranti, tre traumi analizzati con minuzia e rimpianto, fino ad arrivare alla scoperta avvilente che l’oppressione e il trauma nascono per lo più nel baluardo fondante del patriarcato: la “famiglia tradizionale”, qualsiasi cosa questa abusata espressione voglia dire.
Su l’Indiependente l’analisi completa della mia lettura preferita di settembre per esprimere quanto sia liberatorio per me, in questa contemporaneità, leggere ferocia che Lucija usa per raccontare l’ottusa mascolinità tossica e fascista, la cui violenza genera molti dei mali moderni.
Per saperne di più
Ivana Bodrožić è nata nel 1982 al confine tra Croazia e Serbia. Il suo primo romanzo si chiama “Hotel Tito” ed è stato pubblicato in Italia da Sellerio.